Lettera di Don Ermanno

Gambela 17-08-21

Carissimi amici e benefattori,

l’ultima volta che vi ho mandato mie notizie ero reduce dall’esperienza di guerra in Tigray. La mia lunga lettera era in realtà un mio diario di cui vi ho proposto solo i passaggi salienti. E’ da marzo scorso che sono bloccato ad Addis Abeba, a causa della chiusura dei voli per Mekelle, cosa che non mi ha permesso il rientro. I voli sono tuttora interdetti.

Oggi la guerra sembra volgersi al termine, in seguito all’estinguersi delle forze in campo tra le milizie tigrine, a scapito di molte vite umane. Appena riaprono i voli, vado ad Adigrat, raccolgo le mie cose (libri e vestiti) e parto per un’altra destinazione.

Nel frattempo, grazie a voi tutti, da Addis Abeba ho potuto organizzare la distribuzione di molti viveri, servendomi di persone che vivono ad Adigrat e che si sono organizzate in loco in modo molto efficiente. Questi sono anche momenti in cui nascono collaborazioni ed amicizie sincere.

Nel mio periodo di permanenza ad Addis, in seguito ad un discernimento durato qualche mese (in realtà qualche anno), ho deciso di orientarmi verso una zona di missione più povera e di prima evangelizzazione, chiedendo di essere incardinato (far parte del clero diocesano) in una diocesi etiopica. Il Vescovo di Gambela, Mons. Roberto Bergamaschi, mi prende con sé nella sua Diocesi e mi offre una parrocchia a 40 Km da Gambela, sulla riva del fiume Baro, che sorge tra le montagne dell’Etiopia e scorre verso il Sud Sudan. Passo dal clima temperato dell’altipiano etiopico (Adigrat è a 2500m, Addis Abeba a 2400m) al caldo tipicamente africano di zone molto più basse, massimo 500m di altitudine. Dalla vita comunitaria di Adigrat passo alla solitudine del prete diocesano (nulla da temere, ho già l’esperienza dei cinque anni passati nel Guraghe a guidarmi).

Settimana scorsa sono stato a Gambela per una prima visita. Il Vescovo Roberto mi ha mostrato il luogo in cui svolgerò il mio apostolato. Si tratta di due villaggi distinti (Elia e Ibago) con due chiese rurali, ciascuna affiancata da una piccola scuola. A Elia (da pronunciarsi con accento sulla E) c’è la canonica, una casetta che comprende una cucina, una camera e un piccolo magazzino. Manca una lavanderia, mancano anche camere per eventuali ospiti. C’è luce ed acqua, ma l’acqua non è collegata alla casa: la pompa del pozzo è manuale e sarà da sostituire con una pompa elettrica, da allacciare ad un serbatoio sopraelevato che poi permetta di far arrivare l’acqua in casa. Anche le due scuole e le due chiese hanno bisogno di manutenzione.

Insomma, per i primi mesi avrò qualche lavoretto da fare. La Provvidenza non verrà meno. E’ una zona di coccodrilli e, anche se raramente, ci si può imbattere in leoni i quali, per quel che si dice qui, si fanno i fatti loro. I coccodrilli invece è vivamente consigliato evitarli. Ho visto molti scoiattoli e faraone. Anche i cerbiatti sono comuni. Ho fatto due passi nel villaggio e ho visto cucinare pesce ovunque: il fiume Baro è prodigo di Tilapia, uno dei pesci più comuni al mondo. Al posto del pane si usa una specie di farina di granoturco simile alla nostra polenta (dovendo farmi da mangiare da solo, non mi sarà difficile crearne delle varianti lombarde).

Dietro la mia scelta, al di là degli aspetti folkloristici sopra descritti, c’è il desiderio di un ambiente più coerente e più vicino ad uno stile contemplativo. Ma a 51 anni prendere una decisione di questo genere è da incoscienti. Chi sa, capisce cosa sto dicendo. E’ cosa da non farsi. Ma non ho voluto fare calcoli. Voglio lasciare tutto nelle mani di Dio, che è il mio presente e il mio futuro. Meglio perdere tutto, piuttosto che perdere Dio e con Dio se stessi. E poi le cose grandi nascono sempre da un abbandono incondizionato a Dio. Non mi sono mai sentito e non sono mai stato solo.

Vi ricordo nella preghiera. E vi chiedo una preghiera (tre Ave Maria, questa sera, prima di addormentarvi… ma se potete anche di più).

Vostro, nel Cuore di Gesù.

Don Ermanno