Lettera di Don Ermanno
Carissimi amici, la pace di Cristo raggiunga l’intimo dei vostri cuori e prenda fissa dimora dentro le mura delle vostre case. Vi scrivo da Gambella, il centro abitato più vicino al Sud Sudan, caratteristico per il pullulare di gente e per il suo caldo torrido. E’ una città un po’ levantina, tutti sono molto cordiali e avventurieri. Gente simpatica, ma meglio tenere le distanze. Ogni mondo ha le sue caratteristiche.
I lavori della missione stanno procedendo bene. Per ora risiedo ancora nella comunità presbiterale dell’episcopio, ma spero di potervi scrivere la lettera di Natale dalla mia nuova destinazione. Sì, certamente per Natale sarà tutto pronto.
Per il momento faccio la spola tra Gambella e i due villaggi che mi sono stati affidati, Elia e Ibàgo. Sono posti ameni, anche se le montagne e il fresco dell’altipiano un po’ mi mancano. Ma fare il missionario significa anche addattarsi a climi inospitali. Da qualche giorno ho cominciato a studiare una lingua nuova, l’agnwak, parlata dai miei parrocchiani. A me non piace lavorare avendo troppi interlocutori. Le cose vanno capite direttamente, anche se certamente a 51 anni è più difficile essere sciolti in una nuova lingua. Quando ho imparato l’amarico avevo 22 anni ed era tutta un altro studiare.
Ritengo quindi di essere in una fase ancora preparatoria: l’adattamento al clima, lo studio della lingua, le costruzioni che procedono. Nel frattempo però cerco di garantire tutte le attività parrocchiali di base: Messe, confessioni, catechismo, gestione delle due scuole materne, soluzione di problemi spiccioli, percorrendo due o tre volte alla settimana i 35 Km da Gambella ai villaggi.
Spesso mi fermo a pranzo coi muratori e qualche parrocchiano. C’è sempre del pesce appena pescato, specie ad Ibago, dove i pescatori sono più organizzati. I pasti consumati insieme creano un bel clima di famiglia, ci si conosce meglio, si superano certe diffidenze che possono nascere dalla diversità di cultura.
Quando sono a Gambella, dopo pranzo, nell’ora in cui il sole è più cocente e la gente si ritira, percorro a piedi lo spazio tra l’episcopio e una collina (non ho ben l’idea, ma penso siano un centinaio di metri di dislivello) che dista da noi circa due Km. Sulla cima della collina, una chiesetta ortodossa a pianta circolare permette di avere una visione di tutta Gambella e le foreste circostanti, compreso il fiume Baro. Si passa dapprima per un quartiere un po’ chiassoso e malfamato e da lì si prende il sentiero che con una salita breve ma molto ripida porta alla chiesetta. Faccio questo percorso recitando il Rosario, anzi qualche Rosario, interrotto dal saluto di chi ormai mi conosce e dalla goliardia di qualche bontempone. Si passa dal chiasso al silenzio, dal materiale allo spirituale. L’ultima parte del sentiero è faticosa, come gli ultimi atti della nostra vita. Sotto il portico della chiesa, rimango qualche minuto e, quando si fa vedere, faccio due chiacchiere col guardiano, che è anche diacono. E poi si ritorna.
Mentre salgo, penso a come il Figlio di Dio abbia preso su di sé tutto il nostro peccato. Tutto quel chiasso e quella goliardia. E mi si presentano figure amiche. Succedono dialoghi inaspettati. Fatelo anche voi, salite una montagna, visitate un santuario, provate ad entrare nella penombra di San Teodoro da soli. Solo, in latino si dice solus (facile no?). Ma il latino solus viene dal greco holos. Chi conosce il greco sa che al posto di quell’acca iniziale (che in realtà è uno spirito aspro) c’era una esse: holos era solos. Lo spirito aspro ha sostituito la esse. Ma il greco holos non significa ‘solo’, bensì ‘tutto’. C’è chi è solo perché ha tutto… non perché non ha niente. Entrate a San Teodoro nella penombra… Dite un Rosario o fate la via crucis breve da soli, accendete un cero alla Madonna, state dieci minuti in silenzio davanti al Santissimo. Vedrete quante presenze amiche vi avvicineranno.
Vi ringrazio ancora della vostra generosità, che in questi giorni mi permette, oltre che di costruire la mia prossima abitazione, di risolvere prolemi e venire incontro alle necessità quotiane dei miei parrocchiani.
Dio benedica voi tutti, vi doni sapienza e cuore aperto alla luce in questo periodo un po’ oscuro. Teniamoci uniti nel Rosario. Un fraterno abbraccio.
Don Ermanno